mercoledì 27 giugno 2012

borlenghi


ricetta dei borlenghi
Monica Manicardi al ventennale della Centrale Operativa 118 di Modena Soccorso. 
Non potevano certo mancare i borlenghi.
come si preparano per molti commensali




Il vero burlàngh
Il borlengo è una variante del solito impasto di acqua e farina molto diffuso nella zona pedemontana tra Modena e Bologna.
L’origine è antichissima, viene citato in un documento del 1266, ma sembra che sia molto più antico, c’è chi lo fa risalire al neolitico.
I documenti che ne parlano lo fanno risalire alle zone di Guiglia e Monteombraro , ma anche Zocca e Serravalle, la montagna attorno a Vignola (Modena). In tutti i casi non è una preparazione bolognese.  E meno che mai può derivare da una casalinga romagnola, che eventualmente preparava le piadine.
 In pratica è una schiacciata, trasparente, sottile e molto friabile e croccante.
Sembra sia nato per necessità, in quanto con una pasta liquidissima si facevano molti borlenghi. Forse una burla della fame, non uno scherzo vero e proprio, con molta acqua si allungava poca farina.
 L’unico scherzo certo era la quantità di farina che diminuiva di giorno in giorno nella pastella durante l’assedio al castello di Serravalle.
Lo scherzo deriva anche dal fatto che dalla toscana era stato importato l’uso di mangiare un piatto della cucina povera l’ultimo giorno di carnevale, allora erano i berlingacci, poi trasformato in borlenghi.
Ma da burla a borlengo… chi lo può dire… Il termine in ogni caso è dialettale e, come in tutti questi piatti tradizionali  e poveri tutti i paesi hanno potuto inventare la loro storia.
E in ogni caso tutti i piatti non recenti risalgono a una battaglia, a un castello, o a qualcosa di simile, e comunque spesso alle carestie.
È molto difficile la preparazione,  e non la riporto per intero perché nelle zone di produzione esistono Accademie e schiere di appassionati che si disputano la perfezione.
Si prepara un impasto molto liquido di farina acqua e sale (in montagna si chiama “colla”). L’uovo non c’è nell’impasto dei borlenghi, viene aggiunto in casa e nei rari ristoranti che osano farli, per rendere la pastella meno fluida e più facile da cuocere.
Viene cotto, come fosse una crèpes, su appositi testi di rame con fondo stagnato detti “soli”  unti con cotenna di maiale. La cottura è velocissima se sono fatti con la ricetta originale, 30’’ per lato, ma è veramente difficile, sia non romperla, che versare nei testi la giusta quantità di pastella. Tant’è vero che oggi molti, per misurare la giusta quantità usano uno spruzzatore da giardino (e mantengono fluida la pastella con un miscelatore da vernici) * vedi foto sopra. 
Se si utilizza l’uovo, serve invece qualche minuto di cottura.
Quando è cotta, si versa al centro un cucchiaio della cosiddetta “cunza”, lardo rosmarino e aglio tritati, si cosparge di parmigiano reggiano, si piega in 4 e si mangia alla svelta e con le mani finché è caldissima. Certamente in montagna si utilizzava il pecorino, non il parmigiano.
L’unico abbinamento corretto è il Lambrusco di Sorbara o Grasparossa.
(su Gente del Fud, Borlengo)