Monica Manicardi al ventennale della Centrale Operativa 118 di Modena Soccorso.
Non potevano certo mancare i borlenghi.
come si preparano per molti commensali
Il vero burlàngh
Il borlengo è una variante del
solito impasto di acqua e farina molto diffuso nella zona pedemontana tra Modena
e Bologna.
L’origine è antichissima, viene
citato in un documento del 1266, ma sembra che sia molto più antico, c’è chi lo
fa risalire al neolitico.
I documenti che ne parlano lo
fanno risalire alle zone di Guiglia e Monteombraro , ma anche Zocca e
Serravalle, la montagna attorno a Vignola (Modena). In tutti i casi non è una
preparazione bolognese. E meno che mai
può derivare da una casalinga romagnola, che eventualmente preparava le
piadine.
In pratica è una schiacciata, trasparente, sottile
e molto friabile e croccante.
Sembra sia nato per necessità, in
quanto con una pasta liquidissima si facevano molti borlenghi. Forse una burla
della fame, non uno scherzo vero e proprio, con molta acqua si allungava poca
farina.
L’unico scherzo certo era la quantità di
farina che diminuiva di giorno in giorno nella pastella durante l’assedio al
castello di Serravalle.
Lo scherzo deriva anche dal fatto
che dalla toscana era stato importato l’uso di mangiare un piatto della cucina
povera l’ultimo giorno di carnevale, allora erano i berlingacci, poi
trasformato in borlenghi.
Ma da burla a borlengo… chi lo
può dire… Il termine in ogni caso è dialettale e, come in tutti questi piatti
tradizionali e poveri tutti i paesi
hanno potuto inventare la loro storia.
E in ogni caso tutti i piatti non
recenti risalgono a una battaglia, a un castello, o a qualcosa di simile, e
comunque spesso alle carestie.
È molto difficile la
preparazione, e non la riporto per
intero perché nelle zone di produzione esistono Accademie e schiere di
appassionati che si disputano la perfezione.
Si prepara un impasto molto
liquido di farina acqua e sale (in montagna si chiama “colla”). L’uovo non c’è
nell’impasto dei borlenghi, viene aggiunto in casa e nei rari ristoranti che
osano farli, per rendere la pastella meno fluida e più facile da cuocere.
Viene cotto, come fosse una
crèpes, su appositi testi di rame con fondo stagnato detti “soli” unti con cotenna di maiale. La cottura è
velocissima se sono fatti con la ricetta originale, 30’’ per lato, ma è
veramente difficile, sia non romperla, che versare nei testi la giusta quantità
di pastella. Tant’è vero che oggi molti, per misurare la giusta quantità usano
uno spruzzatore da giardino (e mantengono fluida la pastella con un miscelatore
da vernici) * vedi foto sopra.
Se si utilizza l’uovo, serve invece qualche minuto di cottura.
Se si utilizza l’uovo, serve invece qualche minuto di cottura.
Quando è cotta, si versa al
centro un cucchiaio della cosiddetta “cunza”, lardo rosmarino e aglio tritati,
si cosparge di parmigiano reggiano, si piega in 4 e si mangia alla svelta e con
le mani finché è caldissima. Certamente in montagna si utilizzava il pecorino,
non il parmigiano.
L’unico abbinamento corretto è il
Lambrusco di Sorbara o Grasparossa.
(su Gente del Fud, Borlengo)
(su Gente del Fud, Borlengo)